L’eterno ritorno di Zeman, uno degli allenatori più «ritornati» d’Italia. Il Boemo ha lavorato per tre volte a Foggia, per due alla Roma, al Lecce, al Cagliari (nella stessa stagione) e ora al Pescara. L’hanno dato per finito da tempo, ma a quasi settant’anni - li compirà il 12 maggio - Zdenek si rimette in gioco e si fa scivolare via l’età, gli sberleffi e l’idea diffusa che il suo calcio sia diventato modernariato, specie di vecchio jukebox da bar Sport d’epoca. Vintage calcistico, e però, nella musica, è ritornato di moda il fruscio della puntina sul disco in vinile, per cui ci sta che Zeman suoni ancora il suo spartito, 4-3-3 e balzi sui gradoni.
PECCATO ORIGINALE Quando si parla di Zeman, non ci si può mimetizzare nella zona grigia. Odi et amo? No, amore oppure odio. C’entra la sua idea spericolata di calcio, così diversa dall’italianismo che ogni italiano appassionato di pallone custodisce dentro di sé, anche inconsciamente. E c’entra la sua storia di juventino diventato simbolo dell’anti-juventinità, il che gli ha tirato addosso l’ira funesta di milioni di tifosi bianconeri e dei tanti rimasti devoti a Luciano Moggi. La data da segnare in rosso è il weekend di Pasqua, a metà aprile, quando sarà in cartellone Pescara-Juve. Il tormentone poggia su un peccato originale. Zeman è nipote di Cestmir Vycpalek, cecoslovacco, ex giocatore della Juve e allenatore dei bianconeri nei primi Anni Settanta. È zio Cestmir, nel suo periodo siciliano, a ospitare il giovane nipote Zdenek a Palermo, quando i carri armati sovietici invadono l’allora Cecoslovacchia e reprimono nel sangue la Primavera di Praga. È zio Cestmir che permette a Zeman di vivere in Italia e di trovare qui la sua strada di allenatore, prima in Sicilia e poi dappertutto. Quando alla fine degli Anni Novanta, Zeman, già diventato Zeman, denuncia il presunto doping alla Juve e fa notare l’eccessivo sviluppo muscolare di alcuni giocatori, milioni di juventini lo bollano come traditore della patria e poco importa che la Cassazione, in fondo a tutto, assolva il club dall’accusa di doping, ma parli di abuso di farmaci e per certi versi dia ragione a Zeman. Quasi fossimo in una tragedia greca, zio Cestmir muore il 5 maggio 2002, nel giorno dello scudetto che gli juventini contemporanei amano di più, quello sfilato all’Inter travolta a Roma dalla Lazio. Trent’anni prima, il 5 maggio 1972, zio Cestmir aveva perso il figlio Cestino, nella tragedia dell’aereo schiantatosi sulla montagna che sovrasta l’aeroporto di Punta Raisi. Coincidenze da brividi, anche per chi alle coincidenze non crede.
MANTRA I detrattori recitano un mantra: «Quello lì è un perdente, non ha mai vinto nulla». E in effetti il palmarès di Zeman è scarno: una promozione in C1 col Licata e due promozioni in A, col Foggia e col Pescara. Stop. Zeman ha duplicato in piccolo la parabola dell’Olanda degli Anni Settanta, che nulla vinse e che però rivoluzionò il calcio. Col suo secondo Foggia, nei primi Novanta, Zdenek è andato oltre il «sacchismo» e il dogma del 4-4-2, ha estremizzato Sacchi con un 4-3-3 matto e disperatissimo, senza domani. Perciò sarà ricordato nei libri di storia più di altri circondati da scaffali pieni di trofei. Perciò gli juventini, ligi al motto bonipertiano della vittoria come unica cosa che conta, sbeffeggiano il Boemo. Perciò Zeman non poteva che ripartire dal Pescara ultimo della classe, la squadra più sgarrupata dell’attuale Serie A. Bentornato Zdenek.
Autore: Redazione TuttoPescaraCalcio / Twitter: @tuttopescara1
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